“Il delirio dell’infinito”, lo Skrjabin delicato e ieratico di Alessandro Bistarelli”
“Il delirio dell’infinito”, quale miglior nome da attribuire a un disco dedicato al compositore Alexandr Skrjabin? Difficile infatti parlare di un musicista così particolare in termini tecnici e musicologici. “Delirio dell’infinito”, sì, parole che vanno bene per definire un pianismo astratto, che si rifaceva un po’ a quello definito popolarmente l’ “Impressionismo” musicale francese di Satie e Debussy, per però scavalcarlo, andando alla ricerca di un astrattismo profondo, di una spiritualità intensa, caratteristiche che forse potremmo ritrovare in egual misura nei dipinti di Kandinskij.
È l’etichetta Sheva che ha dato origine a questo cd, registrato in modo impeccabile, dove il suono esce come fosse dal vivo, senza perdere sensibilità ed emotività (pare più un nastro che una registrazione digitale). Il pianista invece è Alessandro Bistarelli, uno che Skrjabin lo conosce bene, al quale ha dedicato anche la tesi finale in occasione del suo Diploma Accademico di Secondo Livello in Discipline Musicali al Conservatorio di Perugia. E questa attenta conoscenza non passa inosservata nell’esecuzione di questi brani (per esteso: Deux Morceaux op. 57, Feullet d’album op. 58, Poème-nocturne op. 61, Deux Poèmes op. 63, Deux Préludes op. 67, Deux Poèmes op. 69, Sonata n. 10 op. 70, Deux Poèmes op. 71, Vers la flamme – Poème op. 72, Deux Danses op. 73, Cinq Préludes op. 74).
Una delicatezza d’eccezione si esprime nell’opera del compositore russo, una delicatezza unita a un’intimità segreta, misteriosa, mai rivelata per intero. Le note echeggiano lontane da un tessuto reale, inabissandosi in qualcosa che sta “oltre”, assumendo delle sembianze mitiche, ieratiche, trascendentali. Spesso la musica è soffice, ma anche quando l’intensità aumenta non si perde mai quella dolcezza che la contraddistingue, permane per così dire sempre come una certa dimensione di “controllo”, non come una musica virtuosistica, che ci porta a punti dove diviene tecnicamente incontrollabile. In questo caso i brani sono meditativi, ci emozionano e ci fanno riflettere. Questo non significa che si tratti di brani semplici, tutt’altro, Skrjabin è molto complesso tecnicamente, molto complesso ritmicamente, visto tra l’altro che certi passaggi ci portano su un piano più jazz che classico. Nonostante questo, è forte e prevalente la matrice classica del compositore, che tramite i suoi pezzi ci apre le porte della sua intimità, senza mai renderla però per intero.
Come accennato, si sente che Bistarelli conosce molto bene questo repertorio e lo esegue con cura, lasciando aria ai brani e dando il giusto valore alle pause, cosa essenziale nei brani contemplativi e spirituali. Molto bravo tecnicamente, si trova a suo agio su una ritmia complicata ed esegue senza renderci partecipi dei questa complessità, facendo sì che l’interpretazione ci giunga fluida e per nulla meccanica, meccanicismo in cui si può cadere in brani di tale genere, ma questo non è il caso del pianista di Città di Castello, che riesce a farci provare tutta la delicatezza e la spiritualità di questi pezzi, deliziandoci di una interpretazione ottima e decisamente ispirata… e poi quelle note sciolte, che cadono all’improvviso, come stelle cadenti, portatrici di una forza energetica straordinaria; quei suoni sì, sembrano proprio improvvisi e inattesi deliri dell’infinito.
– Stefano Duranti Poccetti